VERDETTI CHIARI CHE SI APRA UNA STAGIONE NUOVA
Hanno vinto Silvio Berlusconi e il suo Popolo della libertà alleato con la Lega, conquistando il primato elettorale e, a quanto pare, numeri sufficienti a controllare politicamente sia la Camera sia il Senato. Hanno, invece, perso i divisi eredi del Governo Prodi. È sconfitto Walter Veltroni, candidato premier del Partito democratico, che pure ha saputo tenere bene in piedi il «partito nuovo» che si è impegnato a modellare a sua propria immagine. L’obiettivo veltroniano di dare corpo a uno dei perni di un rinnovato sistema bipolare appare così centrato, il Pd ha però mancato non solo l’annunciata «grande rimonta», il raggiungimento di quella soglia del 35% che il leader aveva indicato ai suoi come premio di consolazione e taglia-polemiche. Decisamente più sconfitto è Fausto Bertinotti. Il leader della Sinistra arcobaleno e presidente 'uscente' della Camera ha subìto, alla testa dell’ex area di «lotta e di governo» dell’Unione, una disfatta di proporzioni impreviste e oggettivamente paragonabile agli effetti di un terremoto: le liste unitarie di Prc, Pdci, Sd e Verdi non produrranno stavolta neanche un eletto. Un dato che non può essere spiegato solo con la pur poderosa polarizzazione del voto degli italiani. E che induce nuovamente a riflettere a proposito dell’eccesso di ruolo e del potente condizionamento esercitato da quest’area sulle scelte (e sulle non scelte) politiche e programmatiche del vecchio centrosinistra. Tra i vincitori, c’è poi – come accennato – un posto di rilievo per la Lega Nord, alleata strategica ed esigente del Pdl. E – almeno un po’ – per l’Italia dei valori, schierata (con promessa di fusione) a fianco del Pd. I lusinghieri risultati ottenuti dalle liste che s’identificano in Umberto Bossi e in Antonio Di Pietro confermano che non è certo per caso che gli unici due partiti di qualche rilievo ammessi alla coalizione con i 'giganti' Pdl e Pd siano stati proprio quelli che si sono dimostrati effettivamente capaci – per storia e profilo – di intercettare i sentimenti di protesta presenti in una fetta niente affatto trascurabile dell’elettorato italiano. Si è, infine, battuta con onore l’Unione di centro. La formazione guidata da Pier Ferdinando Casini non sarà «determinante» come aveva sperato di poter essere e perciò dovrà saper incarnare, come ha promesso anche ieri, un ruolo inedito per la politica italiana, quello di «un’opposizione costruttiva». Tuttavia a Casini e ai suoi alleati della 'Rosa per l’Italia' – nella battaglia per la sopravvivenza di una certa idea del riformismo e della moderazione – è riuscito quello che a risultati ormai delineati appare un piccolo grande miracolo: ottenere percentuali di consenso di tutto rispetto, che portano l’Udc a essere l’unica formazione 'autonoma' in grado di conquistare seggi in un Parlamento monopolizzato dai due schieramenti maggiori. È in questo scenario nuovo che Berlusconi si appresta a tornare a Palazzo Chigi. Il Cavaliere, sull’onda di una vittoria ottenuta alla sua maniera e alle sue condizioni, ottiene per la terza volta un mandato a guidare il governo, ma stavolta si avvia con una dichiarata consapevolezza delle difficoltà della missione di accompagnare l’Italia fuori dalle secche in cui è finita. Un compito che dovrà saper affrontare assumendo le responsabilità che ha richiesto per sé e i suoi, e condividendone alcune altre, in particolare sul piano delle riforme istituzionali. Il fair play di Veltroni, che ha rapidamente riconosciuto la vittoria dell’avversario, e quello di Casini sembrano annunciare, insieme all’evocazione da parte di Berlusconi delle intese stabilite nell’ultima Bicamerale per le riforme, una stagione diversa e nuova rispetto alla troppo lunga fase della lotta permanente tra maggioranze d’assalto e opposizioni a prescindere. Se sarà così, sarà un bene per tutti.