Bari 14 aprile 2009
Al Direttore de
“Il Corriere del Mezzogiorno”
Via Villari, 50
70122 B a r i
Illustre Direttore,
sono veramente singolari i percorsi di certa pubblica opinione. Mi sto riferendo all’”intervento” apparso quest’oggi sul suo giornale, a firma di Gianni Di Cagno, significativamente titolato “Fermate il referendum a Carbonara e Palese: è anticostituzionale”. In una città come Bari, in cui gli spazi di dialogo e di informazione sono ridotti ai minimi termini se non proprio preclusi ai più, un momento tipico della democrazia, come il referendum, viene “criminalizzato” agli occhi della pubblica opinione, mediante la propalazione di informazioni senza contraddittorio, evidentemente false e fuori del contesto loro proprio.
Questa la tesi: la legge regionale che regola e disciplina il referendum consultivo per l’istituzione di nuovi comuni sarebbe incostituzionale poiché non chiama alla urne tutta la popolazione di Bari ma solo quella dei territori che aspirano alla autonomia. E ciò in forza di alcune pronunzie della Corte Costituzionale che affermerebbero (secondo l’autore dell’intervento) un principio siffatto.
Nulla di più inesatto. In realtà il referendum è stato indetto applicando la legge regionale n. 33 del 20 dicembre 1973 (con le sue successive modificazioni) che, per l’appunto, chiama alle urne proprio i cittadini dei territorio che aspirano all’autonomia. Questa legge in Puglia è stata applicata molte volte, senza che alcuno abbia sollevato alcun problema. Sono stati costituiti, da quando è in vigore, molti altri comuni, fra cui –come esempio fra i tanti- Statte, distaccatasi da Taranto.
Questo in generale. Per quanto riguarda il nostro caso, v’è da dire che il problema della popolazione chiamata ad esprimersi, e della costituzionalità della legge regionale, s’è posto sia in sede di consiglio comunale di Bari che in consiglio regionale. Ed entrambi gli organi, che in realtà non avevano alcun interesse a sostenere la causa autonomistica, hanno concluso per la piena legittimità della consultazione, così come va a svolgersi. E questo perché, almeno nel caso del territorio di Palese e Santo Spirito, esistono tutte le condizioni per la chiamata alle urne delle sole popolazioni che aspirano all’autonomia, proprio alla luce della giurisprudenza costituzionale: discontinuità fisica dal centro, identità socio-economica precisa e differente da quella del capoluogo, limitata entità della popolazione che intende distaccarsi, etc. Del resto, che destino potrebbe mai avere una consultazione dalle condizioni così discriminatorie, che chiamasse alle urne oltre trecentomila persone per decidere la sorte di meno di un decimo di esse?. Quel che Gianni Di Cagno non dice è che la giurisprudenza costituzionale che egli cita si riferisce a casi in cui i “distacchi” avevano altre caratteristiche, e concernevano comuni che andavano a dividersi pressoché a mezzo. Nessuno ha mai dubitato del fatto che, nel caso –come il nostro- di distacco così limitato e parziale, di entità territoriali definite ed identificabili, dovessero esprimersi soltanto gli abitanti dei territori che aspirano all’autonomia. Tant’è che la stessa Corte ha affermato la piena costituzionalità di referendum come il nostro.
Certo, è vero che la città non ha dibattuto sul tema e, in qualche misura, ha abdicato ad una posizione esplicita: ne è testimonianza il fatto che, chiamato ad esprimere il parere di legge, il consiglio comunale di Bari ha rinviato la questione, rimettendosi espressamente all’esito del referendum. Ma, se la città è incapace di esprimere un proprio avviso, se è indifferente al destino di parti importanti del suo territorio, se non riesce ad affrontare i nodi dello sviluppo facendo i conti con il suo passato, ciò non è colpa di chi vuole essere protagonista del proprio destino, di chi vuol prendere in mano il timone di un futuro migliore, di chi vuol rendersi autonomo, affrancandosi da una soggezione antica.
Si dice: che attualità può avere un’autonomia comunale rivendicata alle soglie dell’istituzione della città metropolitana? Come possono conciliarsi le rivendicazioni localistiche con la necessità di programmare per aree vaste? Eppure, chi ha sposato la causa autonomistica non solo conosce benissimo le problematiche delle aree metropolitane, ma ha la legittima pretesa di inquadrare le proprie rivendicazioni nell’ambito della riforma dei poteri locali. Non solo il comune autonomo di Palese S. Spirito non collide con la città metropolitana, ma anzi è coerente con lo spirito che la pervade: non è un mistero per nessuno (tranne per chi non ha letto la legge) che la città metropolitana presuppone una scomposizione dei comuni più grandi, che non hanno più senso “metropolitano”, in entità minori; che la città metropolitana nasce per l’appunto perché inadeguate sono le grandi città come attualmente le conosciamo, incapaci di governare fenomeni complessi e di conciliare le esigenze di aree vaste con le istanze di parti più piccole del loro territorio. E, se non bastasse la letteratura scientifica sull’argomento, è sufficiente il richiamo alla esperienza di ogni giorno, di chi come noi deve ricorrere ad ogni piè sospinto a sollecitazioni, spesso improprie, anche solo per ottenere udienza rispetto ai minimi problemi della vita quotidiana di centri che, come Palese e Santo Spirito, avrebbero tutte le risorse e gli strumenti per risolvere da sé le proprie questioni, piccole o grandi. Se poi la città di Bari non riesce a governare questo ed altri fenomeni non può dar la colpa a quelle comunità che hanno la legittima aspirazione a decidere da sé, nel pieno rispetto tanto della lettera che dello spirito della Costituzione, che non a caso riconosce e garantisce le autonomie.
Mi permetterà quindi di esprimere queste scarne considerazioni, a nome mio personale e del Comitato “Insieme per l’Autonomia di Palese Macchie – S. Spirito”, affinché il pubblico dei lettori del Suo giornale possa avere più compiuta conoscenza del problema.
Restando a disposizione, con ogni cordialità
Felice Lorusso
Al Direttore de
“Il Corriere del Mezzogiorno”
Via Villari, 50
70122 B a r i
Illustre Direttore,
sono veramente singolari i percorsi di certa pubblica opinione. Mi sto riferendo all’”intervento” apparso quest’oggi sul suo giornale, a firma di Gianni Di Cagno, significativamente titolato “Fermate il referendum a Carbonara e Palese: è anticostituzionale”. In una città come Bari, in cui gli spazi di dialogo e di informazione sono ridotti ai minimi termini se non proprio preclusi ai più, un momento tipico della democrazia, come il referendum, viene “criminalizzato” agli occhi della pubblica opinione, mediante la propalazione di informazioni senza contraddittorio, evidentemente false e fuori del contesto loro proprio.
Questa la tesi: la legge regionale che regola e disciplina il referendum consultivo per l’istituzione di nuovi comuni sarebbe incostituzionale poiché non chiama alla urne tutta la popolazione di Bari ma solo quella dei territori che aspirano alla autonomia. E ciò in forza di alcune pronunzie della Corte Costituzionale che affermerebbero (secondo l’autore dell’intervento) un principio siffatto.
Nulla di più inesatto. In realtà il referendum è stato indetto applicando la legge regionale n. 33 del 20 dicembre 1973 (con le sue successive modificazioni) che, per l’appunto, chiama alle urne proprio i cittadini dei territorio che aspirano all’autonomia. Questa legge in Puglia è stata applicata molte volte, senza che alcuno abbia sollevato alcun problema. Sono stati costituiti, da quando è in vigore, molti altri comuni, fra cui –come esempio fra i tanti- Statte, distaccatasi da Taranto.
Questo in generale. Per quanto riguarda il nostro caso, v’è da dire che il problema della popolazione chiamata ad esprimersi, e della costituzionalità della legge regionale, s’è posto sia in sede di consiglio comunale di Bari che in consiglio regionale. Ed entrambi gli organi, che in realtà non avevano alcun interesse a sostenere la causa autonomistica, hanno concluso per la piena legittimità della consultazione, così come va a svolgersi. E questo perché, almeno nel caso del territorio di Palese e Santo Spirito, esistono tutte le condizioni per la chiamata alle urne delle sole popolazioni che aspirano all’autonomia, proprio alla luce della giurisprudenza costituzionale: discontinuità fisica dal centro, identità socio-economica precisa e differente da quella del capoluogo, limitata entità della popolazione che intende distaccarsi, etc. Del resto, che destino potrebbe mai avere una consultazione dalle condizioni così discriminatorie, che chiamasse alle urne oltre trecentomila persone per decidere la sorte di meno di un decimo di esse?. Quel che Gianni Di Cagno non dice è che la giurisprudenza costituzionale che egli cita si riferisce a casi in cui i “distacchi” avevano altre caratteristiche, e concernevano comuni che andavano a dividersi pressoché a mezzo. Nessuno ha mai dubitato del fatto che, nel caso –come il nostro- di distacco così limitato e parziale, di entità territoriali definite ed identificabili, dovessero esprimersi soltanto gli abitanti dei territori che aspirano all’autonomia. Tant’è che la stessa Corte ha affermato la piena costituzionalità di referendum come il nostro.
Certo, è vero che la città non ha dibattuto sul tema e, in qualche misura, ha abdicato ad una posizione esplicita: ne è testimonianza il fatto che, chiamato ad esprimere il parere di legge, il consiglio comunale di Bari ha rinviato la questione, rimettendosi espressamente all’esito del referendum. Ma, se la città è incapace di esprimere un proprio avviso, se è indifferente al destino di parti importanti del suo territorio, se non riesce ad affrontare i nodi dello sviluppo facendo i conti con il suo passato, ciò non è colpa di chi vuole essere protagonista del proprio destino, di chi vuol prendere in mano il timone di un futuro migliore, di chi vuol rendersi autonomo, affrancandosi da una soggezione antica.
Si dice: che attualità può avere un’autonomia comunale rivendicata alle soglie dell’istituzione della città metropolitana? Come possono conciliarsi le rivendicazioni localistiche con la necessità di programmare per aree vaste? Eppure, chi ha sposato la causa autonomistica non solo conosce benissimo le problematiche delle aree metropolitane, ma ha la legittima pretesa di inquadrare le proprie rivendicazioni nell’ambito della riforma dei poteri locali. Non solo il comune autonomo di Palese S. Spirito non collide con la città metropolitana, ma anzi è coerente con lo spirito che la pervade: non è un mistero per nessuno (tranne per chi non ha letto la legge) che la città metropolitana presuppone una scomposizione dei comuni più grandi, che non hanno più senso “metropolitano”, in entità minori; che la città metropolitana nasce per l’appunto perché inadeguate sono le grandi città come attualmente le conosciamo, incapaci di governare fenomeni complessi e di conciliare le esigenze di aree vaste con le istanze di parti più piccole del loro territorio. E, se non bastasse la letteratura scientifica sull’argomento, è sufficiente il richiamo alla esperienza di ogni giorno, di chi come noi deve ricorrere ad ogni piè sospinto a sollecitazioni, spesso improprie, anche solo per ottenere udienza rispetto ai minimi problemi della vita quotidiana di centri che, come Palese e Santo Spirito, avrebbero tutte le risorse e gli strumenti per risolvere da sé le proprie questioni, piccole o grandi. Se poi la città di Bari non riesce a governare questo ed altri fenomeni non può dar la colpa a quelle comunità che hanno la legittima aspirazione a decidere da sé, nel pieno rispetto tanto della lettera che dello spirito della Costituzione, che non a caso riconosce e garantisce le autonomie.
Mi permetterà quindi di esprimere queste scarne considerazioni, a nome mio personale e del Comitato “Insieme per l’Autonomia di Palese Macchie – S. Spirito”, affinché il pubblico dei lettori del Suo giornale possa avere più compiuta conoscenza del problema.
Restando a disposizione, con ogni cordialità
Felice Lorusso