7 marzo 2008

La parola alla Presidente Brambilla



SERVE UN GOVERNO FORTE SE VOGLIAMO SALVARE L'ITALIA DALLA SERIE B
A scorrere il lungo elenco di simboli che sono stati già depositati al ministero dell'Interno vengono un po' i brividi. Ma queste non sarebbero dovute essere elezioni fatte per ridurre l'eccessiva frammentazione del nostro sistema politico? È così solo in parte, perché il salutare accorpamelo realizzato, a destra e sinistra, dai partiti maggiori non è riuscito ad arginare l'onda di gruppuscoli vecchi e nuovi, pronti a raschiare il fondo delle loro piccole clientele pur di conquistare un posto al sole.Non dico che la loro non sia un'aspirazione legittima. Penso però che l'Italia di tutto abbia bisogno meno che di una dispersione di voti che renda poco gestibile un sistema parlamentare e di governo tra i più farraginosi.Il motivo per cui c'è assoluto bisogno di governi che, sorretti in Parlamento da grandi numeri, siano in grado di dare una svolta alla politica credo che sia ben chiarito da una simulazione fatta dal Wall Street Journal circa quello che, fra 10 anni, potrà essere il destino dei Paesi della vecchia Europa nel contesto dell'economia globale. E se a Germania, Spagna e Olanda il giornale concede un "bonus" abbastanza elevato per quanto riguarda le dinamiche di competitività e le prospettive di crescita, all'Italia accolla, invece, una serie di malus che già ben conosciamo, ma che, visti in una panoramica complessiva, danno la vera cifra dei problemi che noi dobbiamo affrontare e risolvere per sperare, fra 10 anni, di essere ancora tra i Paesi più industrializzati.Ed ecco l'impietoso elenco delle prove che dovremmo superare per poter davvero restare tra i "grandi". 1) Riduzione di almeno il 25-30% del debito pubblico, quello che oggi, a causa degli interessi - 75 miliardi di euro nel 2008 - lo Stato deve pagare e che collassa ogni anno le casse. 2) Drastica riforma di tutto l'apparato pubblico il cui costo, per liberare nuove risorse per il sistema di mercato, non dovrà superare il 43% del Pil - oggi è al 50,02%. 3) Interventi e risorse che consentano di colmare il "gap" di logistica, infrastrutture, innovazione e ricerca che oggi, rispetto ai più avanzati Paesi d'Europa, è superiore al 30%. 4) Individuazione di strategie che permettano di ridurre, in misura considerevole, l'importazione non solo di energia ma anche di altri prodotti di base, ad esempio grano e cereali, destinati ad avere costi sempre meno accessibili a causa della sempre maggiore domanda che viene dai grandi mercati.E siccome il 2018 è già quasi domani, è bene che la politica abbia oggi la forza e la lungimiranza necessarie per mettere in atto un programma che avvii davvero riforme non più eludibili. Il fatto che il Pdl abbia inserito nel programma di governo anche il problema del nucleare è già un segno di una svolta. Chi si illude ancora, difatti, che il prezzo del petrolio possa tornare a costi per noi compatibili? E come restituire risorse al mercato e ridare competitività al nostro sistema di imprese se non affondando il coltello nella parte più costosa e improduttiva della nostra spesa pubblica?Ecco perché ci vuole un governo e una maggioranza che siano così forti e coesi da fronteggiare non solo i gravi problemi che Prodi ci ha lasciato in eredità, ma di gettare anche le basi per un programma che serva a costruire il nostro futuro. E a costruirlo senza altri indugi perché la macchina dell'economia mondiale si è messa a correre. O ci saltiamo sopra in tempo o tutti i malus elencati dal Wall Street Journal potrebbero essere profetici.

Michela Vittoria Brambilla, 2/3/2008

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